Lo chiamano mercato libero
Sì, ma solo per alcuni, pochi, potentissimi privati, di (de)formare le leggi a loro piacimento, e di ricevere aiuti di Stato, proprio quelli sull’eliminazione dei quali un’intransigente Commissione europea ha basato il fulcro della sua politica, con una potente Direzione antitrust che in nome della “libertà di mercato” e della religione della “concorrenza” conduce da decenni una certosina caccia alle streghe degli aiuti pubblici.
I fatti
La Commissione europea, al termine di un’indagine in seguito alle denunce ricevute dai concorrenti scontenti, adottava una decisione (2004/393/CE) in cui definiva una serie di agevolazioni e sconti che la Regione Vallonia (e sua controllata) applicava alla Ryanair: “aiuti di Stato incompatibili con la normativa UE”; dichiarava nulli i rispettivi accordi (2001) e chiedeva alla beneficiaria di rimborsare un importo di circa 4,5 milioni di euro.
In virtù di detti contratti Ryanair otteneva:
1. dalla Regione il 50% di sconto sui diritti di atterraggio e la promessa di indennizzo per ogni perdita causata da eventuali aumenti delle tasse aeroportuali o cambiamenti di orario dell’aeroporto.
2. dalla BSCA, sua controllata, una riduzione del prezzo del servizio aeroportuale da 10 euro a 1 euro per passeggero in cambio dell’impegno a utilizzare l’aeroporto per almeno quindici anni (e altri vantaggi), oltre a una serie di contributi, compatibili essi, con le norme in materia di aiuti di Stato nel settore (contributi per l’avviamento di nuove linee).
I vizi nelle argomentazioni della Commissione spianano la strada alla logica capovolta del Tribunale europeo
Il Tribunale rovescia la decisione della Commissione UE negando l’evidenza: contesta cioé che le agevolazioni ottenute in esclusiva da Ryanair siano aiuti di Stato, nonostante la definizione europea di aiuti di Stato calzi loro perfettamente; uno degli argomenti del Tribunale è che chi accorda detti aiuti in realtà non si comporterebbe da ente pubblico ma da investitore privato, e si appiglia poi a un presunto errore di diritto della Commissione nella sua decisione, quello di avere separato la Regione e la controllata società di gestione dell’aeroporto che andavano considerati un tutt’uno; da lì arguisce che tutta la decisione è invalidata da quell’errore di forma, arrampicandosi su scivolose sottigliezze e torbidi sofismi,[3] aiutato in ciò – diciamolo – dalle debolezze intrinseche del Trattato e delle normative UE in materia di concorrenza, “fiorello all’occhiello” delle politiche della Commissione…
Secondo la dottrina UE e la giurisprudenza, un aiuto di Stato per essere definito tale deve: 1) comportare un trasferimento di risorse dello Stato, 2) concedere un vantaggio economico esclusivo a un soggetto o a una produzione, 3) incidere sugli scambi tra Stati membri, 4) e falsare, o rischiare di falsare, la concorrenza (concorrenza sleale).
Nella fattispecie sono soddisfatte tutt’e quattro le condizioni: vi è trasferimento di risorse pubbliche dalla Regione sia nella garanzia d’indennizzo (risorse regionali), sia negli sconti dei diritti di atterraggio (lucro cessante per lo Stato) sia, indirettamente, con l’uso di risorse (pubbliche) della BSCA per lo sconto delle tasse aeroportuali; tali agevolazioni arrecano un vantaggio competitivo a Ryanair rispetto alle altre compagnie aeree e incidono negativamente sulla concorrenza. Peraltro solo il vantaggio economico è contestato dalla ricorrente, non si sa con quali sfrontati argomenti. Ma tant’è, Ryanair e Tribunale tagliano corto dichiarando semplicemente che questi aiuti di Stato non sono aiuti di Stato e che come tali non andavano inquadrati.
(anche se la definizione di A è inclusa nella definizione dell’insieme di A)
Sarebbe come dire che A, pur appartenendo all’insieme di A, non appartiene ad A.
* Gli aiuti di Stato non sono aiuti di Stato perché chi li eroga si comporta da investitore privato
Secondo i giudici e la ricorrente, la Commissione avrebbe omesso di applicare il criterio del principio dell’investitore privato, un’incongruenza inventata dal legislatore europeo per differenziare un aiuto di Stato (cfr. sopra) – vietato dalla dottrina – dal finanziamento di un normale investitore privato – permesso. Alla luce di questo principio, se un apporto di capitale pubblico in un’impresa avviene in circostanze accettabili per un investitore privato “operante nelle normali condizioni di un’economia di mercato”, allora non sarà da considerarsi aiuto di Stato. Ciò comporta come unico metro di misura il rendimento e il profitto, da valutare ex ante. E’ chiaro che si tratta di una privatizzazione appena larvata dello Stato. Dal principio dell’investitore privato allo Stato privato.
Secondo errore logico: in BA (Regione-aiuti), se B si comporta come C, allora A non è più A, anzi è D
(cioè la Regione, e controllata, erogano aiuti di Stato ma comportandosi come investitori privati, gli aiuti di Stato diventano normali investimenti, nonostante soddisfino completamente la definizione di aiuti di Stato)
* Valutazioni ex ante, l’abracadabra dei finanzieri
Con il criterio dell’investitore privato, i legislatori europei l’hanno combinata grossa, quanto i derivati and Co. che, basando un guadagno sulla scommessa di un dato avvenimento futuro, non solo hanno trasformato l’economia in una enorme roulette russa, ma per di più l’hanno taroccata. La mano invisibile non del mercato ma della dea bendata, “consigliata” e “manovrata”. Perché, a determinare chi farà banco (vantaggi economici pubblici) è proprio chi avrà la facoltà, per legge, di “presupporre” quale delle agevolazioni pubbliche alle imprese sarà un investimento privato, cioé redditizio – proficuo agli azionisti – e quale ricadrà invece nella categoria degli aiuti di Stato, vietati dalla dottrina, tranne eccezioni; e chi avrà il potere di leggere nella “palla di cristallo” avrà un potere discrezionale esagerato, di cui sarà fin troppo facile abusare, e uno strumento per influire sulla realtà.
(mentre un’ipotesi è un’ipotesi, per definizione non è la realtà, e non è certo l’unica. Ovvero come si impongono valutazioni sui rendimenti di investimenti o sulla solidità di società, enti pubblici e interi paesi, come fossero reali per imporre l’unica soluzione, vietare gli aiuti al pubblico ma permetterli ai soliti, pochi, potentissimi privati.)
* Dal principio dell’investitore privato allo Stato privato – Privato della sua autorità
Il principio dell’investitore privato, in realtà, era stato originariamente ideato unicamente nel contesto delle partecipazioni pubbliche nelle aziende a maggioranza pubblica, in modo da limitare i finanziamenti pubblici unicamente a investimenti redditizi, introducendo in tal modo un criterio bancario-prudenziale nel settore pubblico.
Qua gli errori sono piuttosto di linguistica ma non di meno sostanziali: prima si definisce un concetto strettamente connesso a un determinato contesto – partecipazioni in società pubbliche – poi si applica la stessa definizione in altro contesto – non solo partecipazioni ma anche agevolaizoni pubbliche e in qualsiasi tipo di società – con uno slittamento semantico tale da privare lo Stato della sua essenza.
* Babele dalla lingua unica, aliena
L’applicazione del principio dell’investitore privato priva perciò lo Stato della sua prerogativa speciale di potere agire nell’interesse pubblico e della pubblica utilità – detto in gergo bancario “in perdita”, o a fondo perso – soprattutto al momento di partecipare in, o di agevolare, determinate imprese, siano esse pubbliche o private. E’ indicibile quanto ciò sia grave né è la prima nefandezza che compiono le istituzioni europee; di solito tali nefasti cavilli passano praticamente inosservati in criptici testi per iniziati, che non riescono più a leggere oltre la lettera, e in astrusi testi scritti unicamente in lingua inglese, in plateale contravvenzione con il principio fondante dell’UE della parità di trattamento tra tutte le lingue europee. Rigorosamente inglesi sono alcuni testi spaventosi sugli OGM, ad esempio, o gli altrettanto terrificanti testi sulle questioni di difesa militare. Quando il fatto si ripete troppo spesso con i testi più salienti, non è più una coincidenza; del resto tutti gli altri testi di secondaria importanza – quelli del marketing e della propaganda UE, per intenderci – sono scrupolosamente tradotti quando non in tutte le lingue comunitarie, almeno in EN, FR e DE (+IT e/o ES), e di certo non mancano i fondi per i servizi della traduzione. La Commissione europea ad esempio contava nel 2004 non meno di 1700 traduttori (e 3000 in tutte le istituzioni)! Più sono propagandistici più sono tradotti in tutte le lingue; più sono essenziali meno sono visibili, fino a non essere tradotti per nulla e comparire unicamente in inglese.
Traduttori traditori come a Babele e culture, tradizioni, usi, ius romana negati a vantaggio di una unica lingua, l’angloeurocratese.
* Presunto errore di diritto – Le ambiguità della dottrina
Per dimostrare che Regione e BSCA erano da considerarsi come un unico ente “investitore privato”, il Tribunale conferma l’errore di diritto della Commissione, avanzato dalla ricorrente (Ryanair): la Commissione avrebbe separato artificialmente i due enti, la Regione, ente pubblico e “proprietaria” dell’aeroporto di Charleroi, dalla società di gestione (BSCA), sua controllata all’epoca dei fatti al 96,28%. Essa doveva considerarli, afferma, come un tutt’uno, poiché BSCA è controllata dalla Regione, la quale esercita un’influenza dominante, è azionista di categoria A e tutti gli amministratori di BSCA devono renderle conto. E questo unico ente andava considerato, non si sa per quale nesso causale, come un “investitore privato” che opera in una economia di mercato.
Peccato però che il Trattato preveda un cavillo nell’ipocrita ostentata e colpevole indifferenza rispetto alla proprietà – pubblica o privata – dell’infrastruttura – all’articolo ex 295 (“I trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri”). Articolo bastardo perché talmente vago da spalancare la porta alla proprietà privata delle stesse infrastrutture di interesse generale, invece di specificare quelle che, per utilità pubblica, dovrebbero essere appunto pubbliche/statali/demaniali. E poi basta che la stessa Commissione imponga con le sue direttive la loro gestione in situazione di mercato (liberalizzazioni) con il divieto sistematico e dogmatico degli aiuti di Stato per distruggere l’idea stessa di Stato e delle sue prerogative, facendo finta di attaccare gli Stati nazione – forieri di “cattivi” nazionalismi e fascismi. Tranne eclatanti eccezioni di Francia e Gran Bretagna. Questo è il dogma al quale la Commissione ammette poche codificate deroghe, una delle quali è quella degli aiuti pubblici (50%) per l’avviamento di nuovi collegamenti aerei a determinate condizioni, di cui Ryanair già usufruisce abbondantemente, e che non sono certo gli aiuti contestati dalla Commissione e riabilitati dal Tribunale europeo.
* Omissione del criterio del “controllo analogo”
Supponiamo dunque che Regione e controllata formino un unico ente, come è plausibile che sia. Anzi, era la metodologia più coerente. Stupisce però l’assenza da entrambe le decisioni (Commissione e Tribunale) del concetto di “controllo analogo”, normalmente criterio determinante per definire se una società controllata da un ente pubblico sia interna, o società separata. A dire il vero hanno utilizzato il concetto di “influenza dominante”, che è uguale come significato, ma non nelle conseguenze giuridiche. Perché in caso di controllo analogo, l’ente pubblico ha pari potere, controllo, discrezionalità sulla partecipata di quello che avrebbe sui propri servizi (come nell’influenza dominante). Ma la presenza di questa qualità è tale da consentire una deroga alle norme della concorrenza, consentendo ad esempio l’affidamento della gestione di un bene o di un servizio senza gara pubblica, “in house” o diretto, com’è il caso della Regione Vallonia che ha concesso per convenzione cinquantennale la gestione dell’aeroporto alla società BSCA (nel 1991), senza gara pubblica.
Ammettiamo dunque che Regione e società di gestione formino un unico ente, non si capisce però come detto ente, e perché, sia da considerare un investitore privato, ivi compreso per transitività, la Regione Vallonia. Come a dire: se un ente pubblico controlla una SpA o una società di diritto privato, è l’ente pubblico a diventare soggetto di diritto privato e non viceversa!
Qua l’errore di logica è da ricercare nella teoria degli insiemi dove se A è incluso in B, allora A coincide con parte di B, ma non viceversa. Ossia se la società di gestione dell’aeroporto appartiene alla Regione vuol dire che la società coincide con la natura della Regione ma non che la Regione coincide con la natura della società.
*Il vestito non fa il monaco, o no?
Oltre a insultare la logica, s’intacca la definizione stessa della natura del pubblico e/o Stato, scopo sempre meno segreto di società come Ryanair, dei suoi efficienti assoldati avvocati, di intere frange della magistratura e dei vertici paracadutati nelle istituzioni europee, BCE, BEI e Commissione in primis. Secondo logica, ai sensi di quel controllo analogo sapientemente taciuto nella decisione della Commissione e nel corpo della sentenza, si dovrebbe potere affermare esattamente il contrario delle conclusioni della sentenza, e cioè che Regione e società di gestione sono, sì, un soggetto unico, ma pubblico.
Se un comportamento “da privato”, o “come se”, di un ente pubblico bastasse per farlo diventare, agli effetti giuridici, privato, capirete come allora tutti gli enti pubblici siano a rischio di privatizzazione, compresa la Commissione. Nel frattempo sono diventati mere facciate, involucri vuoti che sottostanno in tutto e per tutto alle norme della proprietà privata e cioè alle norme attuariali delle banche e del profitto.
Il tribunale giunge persino a definire le tasse aeroportuali decise per decreto dal governo della Regione come retribuzioni “parafiscali” per un servizio offerto dalla società di gestione. Anche se il 35% va a un fondo pubblico per l’ambiente. E gli sconti sui diritti di atterraggio sarebbero il risultato di una semplice trattativa commerciale. Mentre la garanzia d’indennizzo in caso di modifica della tassa aeroportuale, una “clausola di stabilizzazione”, normale prassi nei contratti commerciali.
E’ molto tirata per i capelli, l’interpretazione del tribunale di considerare le tasse aeroportuali e i diritti di atterraggio, normali attività economiche passibili di sconti particolari. Non che non siano attività economiche, lo saranno anche, ma normalmente fissate per decreto regionale, e risultanti dallo sfruttamento del demanio pubblico, non si capisce come esse possano essere modificate per contratto privato. E di questa eccezione cambiare l’essenza della Regione. E’ come dire che l’eccezione diventa la regola o che il vestito fa il monaco mentre sappiamo che il vestito non fa il monaco; una cosa è il vestito, altra cosa è l’uomo coperto dal vestito. Che poi il vestito influenzi l’uomo – o viceversa – è un altro paio di maniche. Insomma un comportamento non fa un’essenza. Altrimenti in quest’ottica TUTTO diventa attività economica soggetto alla dottrina della concorrenza (profitto e rendimento), e tutti i soggetti, anche statali, anche la Commissione europea, diventano soggetti privati da considerare investitori privati. E’ sicuramente ciò a cui stiamo approdando. Ma che lo si sappia. Che sia chiaro. Perché questa situazione capovolge il nostro sistema giuridico, la nostra costituzione, i diritti dell’uomo. In questa sentenza, si avanza a grandi passi verso quel folle progetto, che mira semplicemente alla distruzione legale, istituzionale, giurisprudenziale del concetto di Stato e di ente pubblico, a vantaggio degli interessi di pochi, potentissimi, privati. A spese degli altri. Cioé di tutti noi.
Qua l’errore è di confondere volutamente comportamento ed essenza, vestito e monaco, come trasformare in troia una donna che ha avuto un comportamento libertino una volta, o in stupido a qualcuno che non ha capito una barzelletta o un ragionamento. Insomma nella sentenza si trasforma in investitore privato la Regione perché strozzata dai debiti ha dovuto comportarsi da meretrice e svendersi.
* Confusione tra demanio pubblico e proprietà privata
Uno degli argomenti per definire “investitore privato” la Regione è che essa sarebbe “proprietaria” dell’aeroporto e che si comporterebbe in quanto tale, nella gestione del suo patrimonio. Niente di più errato poiché la definizione giuridica di proprietà privata dovrebbe essere per essenza diversa da quella giuridica di demanio pubblico (“il complesso dei beni inalienabili dello stato e degli enti pubblici territoriali” Diz. Garzanti). Ma qui siamo nell’idolatria della proprietà privata, al punto da incorporare nei testi e nel linguaggio dell’angloeurocratese la confusione di due nozioni così essenziali sulle quali si è fondato il diritto romano. L’aeroporto è demanio pubblico dato in gestione dall’ente pubblico Regione a una società di gestione che, sia essa pubblica o privata, rimane pur sempre una società concessionaria di gestione di una res publica. La definizione giuridica di demanio pubblico dovrebbe far sì che le regole e le norme che ad esso si applicano siano fondamentalmente diverse da quelle applicate alla nozione di proprietà privata.
Dubbia coincidenza: la privatizzazione dell’aeroporto
Si aggiunga che con peculiare tempismo, nella compagine sociale della BSCA, che era interamente di proprietà della Regione, è subentrata la SAVE SpA che in un comunicato stampa 19 dicembre 2008, appena due giorni dopo la pronunzia della sentenza, afferma che la società di gestione degli aeroporti di Venezia e Treviso, si è aggiudicata “dal Governo della Vallonia la negoziazione in esclusiva per l’acquisizione del 27, 65% di BSCA, la società che gestisce lo scalo di Charleroi”. L’offerta è stata presentata lo scorso 8 dicembre da SAVE in partnership con il socio belga Holding Communal (cfr. Nimby Pimby) e prevede tra l’altro la prelazione su un’ulteriore quota del 21,24% del capitale, a fronte della condivisione del business plan e dei relativi investimenti. Non si capisce come una società privata possa ottenere la possibilità di acquistare ( senza gara) una concessionaria pubblica e la sua concessione ottenuta direttamente (senza sforzo e senza concorrenza) proprio per quel controllo analogo che subisce dall’ente pubblico e che di cui il privato acquirente è per definizione esente.
Questo è il modello predominante: voluta difficoltà crescente di affidamenti in house dallo Stato ad aziende interamente pubbliche, ma possibilità per le società private di acquisirne il controllo, e le concessioni, senza obbligo di gara. Basta avere i crediti (anche tossici).
Clausola di riservatezza
Il modello della compagnia Ryanair a Charleroi è stato replicato in altri 8 piccoli aeroporti d’Europa da Algheri a Bratislava, da Berlino Schonefeld, Pau, Tampere, Aarhus a Francoforte Hahn, Amburgo Lubecca, dove pendono altre otto cause e dove la sentenza europea rischia di fare giurisprudenza creando un vizioso e perverso precedente.
Forte di questa dubbia vittoria, Ryanair rialza la cresta, che non ha mai abbassato, per chiedere all’UE di “concentrarsi invece sulle violazioni reali e sfrontate delle norme sugli aiuti di stato delle più grandi compagnie di bandiera d’Europa, come l’ultimo salvataggio illegale di Alitalia da parte del Governo Italiano”.
La natura di Ryanair, vista dagli irlandesi
Al momento di scrivere l’articolo (dicembre 2008), per coincidenza, erano i giorni dell’offerta ostile di Ryanair sulla compagnia di bandiera irlandese Aer Lingus, in occasione della quale alcuni dirigenti l’hanno accusata senza peli sulla lingua di volere rastrellare le sue liquidità –“cash raid”-. Dopo avere rifiutato l’OPA ostile di 750 milioni di euro dalla sua rivale, già azionista per il 29,9%, il presidente di Aer Lingus, Barrington, ha scritto agli azionisti che “Ryanair sta tentando di offrire agli altri azionisti 525 milioni per acquisire il controllo di Aer Lingus in modo da potere accedere alle sue liquidità di 1,3 miliardi di euro. Già solo per questa ragione l’offerta merita il nostro rifiuto. Oltre che per la valutazione del valore di mercato della nostra flotta a soli 601 milioni di euro, e degli altri beni patrimoniali, comprese le slot di Heathrow, gli ordini di flotta, il marchio, le operazioni di successo e il forte posizionamento sul mercato”. Inoltre ha citato la mancanza di esperienza di Ryanair nella gestione “di un business di lunghe rotte e nell’offerta di comfort superiore. In realtà essa abbonda nel contrario”. “Ryanair non ha alcuna esperienza nella gestione sindacale in Irlanda e ha pubblicamente ridicolizzato e dimostrato disprezzo per i sindacati.” ha aggiunto.
Una società senza solide riserve patrimoniali che acquista a debito, rastrella liquidità, succhia denari pubblici con strani aiuti di Stato convalidati dalla giustizia europea, annientando di fatto e de jure l’idea di Stato. La mia ipotesi è che dietro ci siano le solite banche canaglia che finanziano con credito tossico la sua inarrestabile ascesa.
Senza contare il fattore R. R come Ryanair, Rockfeller (?), Rothschilds (?) (Ryanair apparterrebbe per il 15% alla famiglia Ryan e per il 10% a Michael O’Leary).
Naturalmente rimane un’ipotesi visto che nel reame della privacy, dal Benelux in su, risulta difficilissimo capire chi siano i principali azionisti di Ryanair. Alla faccia delle direttive trasparenza e del fair play.
SORRY FOR THAT…
Nicoletta Forcheri
Febbraio 2009
Bibliografia:
Investitore privato:
http://www.astrid-online.it/Riforma-de2/L-OSSERVAT/Il-diritto/CAPANTINI-GHELARDUCCI-07_12_04.pdf
http://ec.europa.eu/community_law/state_aids/comp-1999/n132-99.pdf
Un pò troppo “tecnico” per chi non mastica diritto e giurisprudenza…>luca
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